di Lorenzo Parolin[L1/52]
“Col sudor di tua fronte mangerai il pane”, disse il Signore ad Adamo, ma in ogni tempo c’è stato qualcuno che ha banchettato senza sudare e qualcuno che, dopo aver sudato, è rimasto senza pane. Sono i frutti dell’egoismo: la tendenza innata dell’uomo a spogliare gli altri e a tenere tutto per sé. L’egoismo è presente in tutte le persone, ma non tutte riescono a metterlo in atto, perché, appena qualcuno si accaparra più di ciò che gli spetta, condanna gli altri a racimolare ciò che resta. I forti e i furbi diventano ricchi, mentre i deboli e i semplici si ritrovano sottomessi e sfruttati e la loro inclinazione a sopraffare è costretta a rimanere a livello di desiderio. Nei tempi andati, un gran numero di poveri era il pascolo di pochi ricchi, poi l’uomo ha piegato l’energia della natura a suo vantaggio, ed ora, che una sola macchina ben diretta può saziare cento e più bocche, il numero dei ricchi è cresciuto. I poveri però non sono scomparsi, perché il progresso è stato monopolizzato dai più rapaci. D’altra parte, se i poveri non fossero mantenuti tali, non resterebbe più nessuno disposto a lavorare e a farsi sfruttare, perciò c’è gran cura nel conservarli, e appena dovessero alzare la testa, esigendo una divisione degli utili meno partigiana, li si punisce importando stranieri oppure trasferendo il lavoro là dove la gente si accontenta di una paga misera, tale da lasciare al datore di lavoro un margine elevato. Portiamo ora lo sguardo in giro per le nostre case e per le nostre città e chiediamoci quale sia la destinazione di tutte le ricchezze prodotte dalle macchine e dall’uomo. Ebbene, troveremo in circolazione una quantità smisurata di cianfrusaglie, di frivolezze, di capricci e di cose dannose, il che equivale a dire che molte risorse sono state sciupate e molte fatiche sono andate disperse. Soddisfatti i bisogni primari e raggiunto un certo agio, il ricco non pensa ad aiutare quelli che sono ancora nella miseria, ma dissipa i suoi beni dando ascolto a tutti gli appetiti che scopre in sé, in un crescendo senza limiti. Anche il povero, nel suo piccolo, non è da meno in fatto di egoismo: gli mancano i mezzi, ma non i desideri, perciò assistiamo spesso a scene penose di persone che mancano del necessario ma che non sanno rinunciare a soddisfare i loro grilli. Da sempre l’egoismo ha guidato certe scelte, ma oggi esso è supportato e rinvigorito da altri meccanismi: quelli della persuasione occulta. Se la brace dell’egoismo non è abbastanza viva, il vento della pubblicità, spirando senza posa, la tiene rinfocolata e accende nella gente il desiderio di possedere oggetti prima sconosciuti o di tenere comportamenti prima impensabili. I ricchi egoisti, che vivono con la pancia all’aria, non possono mungere apertamente i poveri: sarebbe troppo odioso; allora lo fanno con l’astuzia. I messaggi che lanciano sono così appetitosi e martellanti che la propensione al risparmio si riduce, le mode si affermano e i consumi aumentano. Le masse lavorano e poi corrono a portare i loro stipendi nelle mani di chi ha eccitato i loro desideri. Se la loro vista fosse buona, si accorgerebbero che l’acquistato è costituito da cose non necessarie e spesso inutili, ma come asini con gli occhiali verdi, mangiano paglia credendola erba. Vengono sfruttati una prima volta come lavoratori, ricevendo una paga modesta, e una seconda volta come compratori, portandosi a casa delle cose che in breve tempo saranno da buttare. Il risultato finale è che rimangono poveri e i loro soldi ritornano elegantemente nelle tasche dei furbi. Non c’è costrizione, è vero, ma raggiro con destrezza sì! Gli uomini credono che i forti e i furbi debbano sempre prevalere, come avviene nel regno animale, perciò ritengono lodevole concludere l’affare in ogni circostanza, anche con i deboli, con gli ingenui e persino con gli amici. L’animale uomo non è mai sazio e alla fine riduce il povero in miseria, mentre lui nuota nell’abbondanza. Ma l’opulenza e le comodità introdotte con il progresso economico appesantiscono e infiacchiscono fisicamente il ricco; i vizi, ritenuti conquista di civiltà e praticati al posto del lavoro, lo abbrutiscono moralmente; se poi aggiungiamo un goccio di insipienza politica, otteniamo un cocktail capace di distruggere qualunque famiglia o nazione che nuoti nella ricchezza. Fortunatamente i paesi poveri si difendono facendo figli. Molti di questi muoiono di fame e di malattie, ma i più forti sopravvivono e invadono le nazioni ricche e, anche se sono continuamente respinti, fra qualche generazione, quelli che si adattano a lavorare, prenderanno il posto di chi, a furia di ingozzarsi, si è strozzato. Guadagnarsi il pane con il sudore della fronte è ritenuto da tutti una pesante condanna di Dio per il peccato dell’uomo, perciò si fa di tutto per evitarla, ma non ci si rende conto che dover faticare per vivere non è una punizione ingiusta, ma un mezzo efficace per tenere sotto controllo le debolezze umane, è una medicina salutare, un’ancora di salvezza. Chi vuol evitare il sudore della fronte incappa in guai peggiori che lo conducono alla rovina. La vita dell’uomo si può paragonare alla discesa di un torrente di montagna. Una canoa snella e maneggevole è l’ideale per questa impresa, invece, chi si procura una barca grande e la carica di troppe merci, va a cercarsi un mare di guai. Se la vita ti offre più di ciò che ti serve, sii generoso con chi ha avuto meno di te, è convenienza tua donare il di più, così eviterai di appesantirti e di schiantarti miseramente contro gli ostacoli. “O monaco, svuota questa barca, se vuoi correre”, dice una massima indiana. Lavorare senza posa, donare il di più; ma non è da stupidi? Sì, a prima vista lo è, però, se ti importa la felicità, quella è la strada giusta. Forse che nella nostra società ricca e progredita una persona trova più gioia di una che vive nel sottosviluppo del terzo mondo? No, la gioia, per fortuna, non dipende dalle condizioni materiali né dall’epoca storica in cui uno vive né dalla latitudine alla quale uno nasce; essa è un modo di essere della mente, è una sensazione di benessere, di distensione e di leggerezza che si instaura quando uno rinuncia volontariamente a soddisfare i propri egoismi. Essa può essere raggiunta da tutti, magnati o derelitti che siano. Se, oltre a contenere gli egoismi, si è capaci anche di praticare l’altruismo, allora la gioia diventa incontenibile. I ricchi e i poveri possono essere paragonati alle note categorie dei maschi e delle femmine. Essi sono fatti per completarsi a vicenda e l’armonia si crea solo se ognuno, volontariamente, accetta di riempire le carenze dell’altro. Le relazioni tra soli ricchi sanno molto di omosessualità sociale, inoltre, il forte che approfitta del bisognoso assomiglia a quell’uomo che prende a noleggio il ventre di una donna: lui sostiene di aver avuto un rapporto amoroso, ma è stata solo una masturbazione raffinata. Se tu vuoi avere il massimo devi amare la donna in modo non egoistico, tutto il resto è diminuzione, mediocrità, note stonate; e lo stesso avviene in campo sociale: le soddisfazioni e le emozioni che si provano facendo del bene a chi ne ha bisogno sono enormemente più grandi di quelle che prova chi pensa solo a sé stesso. Fino a che il povero e il ricco non capiranno di essere l’uno il completamento dell’altro, rimarranno due cocci inutili, mentre, la loro unione, dando origine ad un vaso, li renderà utili. A questo punto è opportuno elencare le cose che, per il proprio bene, è meglio evitare; esse, in sintesi, sono: superbia, avarizia, lussuria, ira, gola, invidia, accidia e i loro derivati.
L’uomo, ricco o povero che sia, dovrebbe lavorare fino all’estremo delle sue forze per dare una vita dignitosa a sé, alla sua famiglia e per far progredire il suo paese e il mondo intero. Se non disobbedisce alla sua sete di avere tutto per sé e non sviluppa, anche con fatica, l’altruismo, può fare ciò che vuole, ma resterà sempre un disperato e non conoscerà mai la felicità.